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Inizia la Lanaterapia al San Raffaele di Milano – Dalla scrivania del Presidente

Purtroppo sulla mia scrivania non c’è più la sua foto ormai, perché il tempo passa e con la vita si deve andare avanti. Ma l’immagine del giovane Marco (nome di fantasia) mi è stata di fronte per molti anni, con la sua macchina fotografica al collo, il sorriso sempre un po’ triste, il giaccone da “paparazzo” che lui amava tanto.

Marco era il primogenito della signora che gestiva la lavanderia sotto casa, dove spesso passavo per portare o ritirare la nostra biancheria. Una sera la vidi particolarmente stanca e tesa e appena le chiesi se c’era qualcosa che non andasse scoppiò a piangere. “stasera comincerò per la prima volta a battere il marciapiede e ho tanta paura perché non l’ho mai fatto. Non ho più soldi e non mi resta che prostituirmi, così una mia cliente si è offerta di “insegnarmi” e di introdurmi. Mio figlio Marco ha ormai bisogno di più di 100mila lire al giorno per comprarsi l’eroina e io non guadagno abbastanza con la tintoria”.

Ricordo ancora adesso, a più di 30 anni di distanza, lo shock che quelle parole mi causarono. Non seppi cosa dire sul momento, provai profondo imbarazzo, presi la biancheria stirata, pagai e uscii dal negozio. Quando mi ripresi però, mi venne in mente di aver visto nella posta un avviso dell’Assessorato alla salute della Regione Lombardia (all’epoca abitavo a Milano) che invitava qualsiasi medico della regione a collaborare al programma anti-droga appena varato. Erano i primi anni ’80.

Telefonai subito e come accade quando le cose devono accadere, trovai ancora una funzionaria in ufficio alle sei di sera. Mi diede il contatto del centro per le tossicodipendenze più vicino e mi spiegò rapidamente il programma. Si trattava di impegnarsi a somministrare alla persona in stato di dipendenza una fiala di metadone ogni 24 ore: tale farmaco preveniva i sintomi da astinenza e permetteva al tossicodipendente di fare senza la dose quotidiana di eroina. I centri erano all’epoca aperti giorno e notte e ci andai subito. Firmai i documenti necessari e chiamai Marco e sua madre per fare altrettanto.

Il mio compito da quel momento era di dare a Marco una fiala di metadone ogni 24 ore e di fargliela bere davanti a me (altrimenti sarebbe andato subito a vendersela per poi comprarsi della vera eroina). La bevve, sorrise, e andò a casa con sua mamma che invece di prepararsi a uscire sul marciapiede con i tacchi a spillo si mise in pigiama e andò a dormire, esausta.

Andammo avanti un anno, ogni giorno a bere la fiala che gli davo e Marco alla fine ce la fece, riuscì a liberarsi dalla sua terribile dipendenza, tornò a lavorare con grande entusiasmo e fece anche qualche scoop importante con cui guadagnò un po’ di soldi che restituì a sua mamma.

Troppo bello per essere vero. Marco dopo un po’ cominciò a non star bene, a perdere peso, ad avere delle strane protuberanze sul collo e sul resto del corpo. Facemmo gli esami e la sentenza ci fu comunicata qualche giorno dopo: HIV positivo. L’infezione era chiaramente avvenuta quando con i suoi amici si drogava in gruppo e avendo solo una siringa se la passavano l’un l’altro.

Fu ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano, alla sezione Ville Turro, dove ancora oggi opera il reparto per i malati di AIDS. Ma quella volta non riuscì a farcela perché non c’erano ancora i farmaci che abbiamo oggi e che la ricerca scientifica ha trovato.

Le volontarie di Gomitolorosa, insegnano la Lanaterapia

Marco è ancora nel cuore e nella mente di tutti noi che gli abbiamo voluto bene e che l’abbiamo sostento fino all’ultimo. Se ne andò sereno, scattando foto impietose a noi che piangevamo per lui. Lasciò una bellissima lettera di ringraziamento al centro per le tossicodipendenze che l’aveva salvato dall’eroina e al reparto dell’ospedale San Raffaele che l’aveva curato con attenzione e anche affetto, senza mai fargli pagare un soldo. Penso sempre a Marco e a sua mamma quando sento qualche politico trombone che invoca la privatizzazione totale della sanità!

Maria Cristina Negro,  Bianca Maria Martina, Katia Scardigno, prof. Antonella Castagna

Oggi le volontarie di Gomitolorosa stanno preparando centinaia (avete letto bene, centinaia) di sciarpe rosse (colore che Elton John scelse per l’AIDS) da regalare a dicembre ai pazienti di HIV e ai loro cari. E alcuni di loro, contagiati questa volta da un virus buono, quello della solidarietà, si sono messi a sferruzzare in ospedale.

Ringrazio tanto la collega prof Castagna che dirige il reparto e che ci ha guidato in questo programma speciale e pieno di emozioni.

Terrò una sciarpa in ricordo di Marco e rimetterò la sua foto sulla mia scrivania, perché dimenticare significa lasciar uscire dalla mente e scordare significa lasciar uscire dal cuore. Ma noi non vogliamo né dimenticare né scordare…

Alberto Costa

Presidente Gomitolorosa Ente Filantropico

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