Il potere terapeutico dei ferri non è più solo appannaggio della «saggezza popolare».
Lo scorso 14 novembre abbiamo reso noti i risultati dello studio I CORRELATI NEUROLOGICI DEL LAVORO A MAGLIA che la nostra organizzazione aveva commissionato quasi un paio di anni fa ai ricercatori della Fondazione Ircss Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. Cogliamo l’occasione per ringraziare il team dei cinque professionisti: il dottor Davide Rossi Sebastiano, responsabile dell’UO Neurofisiopatologia e capo progetto; il dottor Pietro Tiraboschi, responsabile della Struttura Semplice Clinica delle Demenze; la dottoressa Cristina Muscio, psicologa clinica e le ingegnere Elisa Visani e Dunja Duran.
Tanti i volontari, gli amici, i sostenitori e i giornalisti presenti, tutti curiosi ed emozionati di conoscere cosa ci dice oggi la scienza sull’attività alla base del nostro progetto terapeutico e solidale, un momento importantissimo per tutto il nostro network: il lavoro a maglia influisce positivamente sull’attenzione, migliorando l’allerta e l’orientamento.
Cogliamo l’occasione per ringraziare la giornalista e amica Gomitolorosa Cinzia Sasso per aver coordinato il dibattito.
«Questa ricerca ci permette di osservare per la prima volta come il lavoro a maglia sia uno strumento efficace per sostenere l’empowerment del paziente e delle pazienti – osserva il dottor Alberto Costa, presidente di Gomitolorosa, e oncologo senologo riconosciuto a livello internazionale per il suo contributo all’avanzamento della cura dei tumori al seno. Da medico posso dire che questo porta con sé quattro benefici. Uno: promuove la consapevolezza delle pazienti e consente loro di comprendere più a fondo la propria salute, la malattia e le opzioni di trattamento. Due: aumenta l’aderenza al trattamento. Quando i pazienti sono coinvolti attivamente nelle decisioni riguardanti la propria salute, sono più propensi a seguire le indicazioni mediche e a impegnarsi in modo proattivo nei percorsi di cura. Tre: migliora la qualità della cura. Pazienti informati e coinvolti possono collaborare in modo più efficace con i professionisti sanitari, portando a una migliore comprensione delle esigenze del paziente e a una cura più personalizzata e mirata. Quattro: riduce l’ansia e la paura. Con una maggiore conoscenza e controllo sulla propria situazione di salute, i pazienti possono ridurre l’ansia e la paura associate alla malattia, migliorando il loro benessere emotivo complessivo».
L’incremento di attenzione è importantissimo per chi sta vivendo un percorso di cura. «Lavorare a maglia distrae dalle preoccupazioni, aiuta a percepire meno il dolore, agevola i processi di socializzazione e migliora l’autostima perché implica un obiettivo e il suo raggiungimento – aggiunge Costa – Tale incremento di attenzione è importantissimo per chi sta vivendo un percorso di cura, in quanto consente di comprendere meglio la propria malattia e le misure da prendere per superarla e raggiungere la guarigione».
È un fenomeno ben noto in psico-oncologia ed è chiamato “patient empowerment”, cioè, letteralmente, “potenziamento mentale” del paziente, che diventa molto più capace di comprendere la propria malattia e gli effetti sul proprio corpo, cerca attivamente informazioni ed è in grado di formulare domande per lui rilevanti a medici e operatori sanitari. Una comunicazione efficace tra medico e paziente comporta notevoli benefici. Aumenta infatti la soddisfazione del paziente e ha un impatto positivo sulla qualità di vita e sul processo di guarigione.
Lo studio è stato pre-pubblicato sulla rivista medRxiv, un servizio di pre-stampa online che ospita articoli scientifici nel campo della medicina e delle scienze affini gestito da Cold Spring Harbor Laboratory, British Medical Journal e Università di Yale.
Dal oltre 10 anni, Gomitolorosa promuove la lanaterapia in trenta ospedali italiani, da Messina a Milano, perché ha sempre fortemente creduto che il lavoro a maglia rappresenti un’attività dalla quale trarre grandi benefici per la salute fisica e mentale e costituisca un valido strumento integrativo del percorso di cura. La scienza finalmente oggi conferma quanto a noi già noto! Il potere terapeutico dei ferri non è dunque più solo appannaggio della «saggezza popolare», ma può vantare anche una base scientifica.
Durante la conferenza stampa, in mezzo ad una platea di donne alle prese con ferri e gomitoli, non sono mancate le testimonianze, e tra queste vogliamo sottolineare quella della nostra amica Giusy Marelli, 75 anni, che negli anni si è ammalata prima di melanoma, di tumore all’intestino e poi di cancro al seno.
«Io lavoravo a maglia mentre facevo la chemio, volevo portare lì quello che facevo nella vita di tutti i giorni. Lavorare a maglia mi dava un senso di gioia, prima di tutto perché regalavo i lavori che facevo ai miei “angeli custodi” (infermieri e medici) e poi perché io non avevo disturbi alle mani e quindi usavo questa abilità. Era inoltre un modo di tenere sempre acceso e vigile il cervello. Mi sentivo bene nonostante fossi in un posto dove c’erano tante altre persone che, come me, stavano vivendo un problema di salute importante».
Un vero punto di svolta per la nostra organizzazione che amplia la strada di applicazione di questa attività, verso la quale c’è oggi ancora più attenzione da parte di medici, paramedici, pazienti e stampa.