APRITIMODA E APRITICIELO – Dalla scrivania del Presidente.
Cinzia Sasso, che fin dalla sua nascita ha sostenuto Gomitolorosa raccontandone la storia in un indimenticabile articolo su Repubblica, ha in mente, da un paio d’anni, l’idea geniale di far conoscere gli spazi anche più segreti della moda italiana. Se vi prendete qualche minuto di pausa e andate ad aprire il sito www.apritimoda.it vi troverete di fronte ad un invito molto allettante: “vieni a scoprire dove nasce il saper fare italiano”.
La promessa è stata mantenuta durante l’ultimo week end di ottobre, fortunatamente soleggiato e pieno di colori autunnali in tutta Italia, quando si sono aperte le porte di decine e decine di aziende e laboratori a chi si era iscritto con la curiosità di conoscere il mondo della nostra moda. Se rimanete ancora a navigare un po’ sul sito e cliccate su “visualizza mappa” resterete sorpresi (e ammirati) di fronte alla varietà di iniziative e all’ampiezza della loro distribuzione lungo tutto il nostro amato Stivale.
Gomitolorosa era presente al Lanificio Piacenza di Pollone (Biella) e i suoi celebri angioletti sono stati distribuiti a tutti i partecipanti alle visite dei vari reparti di questa antica azienda tessile (fondata nel 1733): è qui che nascono anche i nostri gomitoli, recuperando lana che andrebbe altrimenti buttata o bruciata e trasformandoli in migliaia di messaggi di solidarietà grazie ai colori che caratterizzano le varie malattie che stiamo combattendo.
Se ApritiModa è stato il geniale leit motif dell’ingresso nell’autunno avanzato, Apriticielo potrebbe essere il commento al solito articolo del solito Economist che annuncia il solito irreversibile declino del nostro Paese: “Italy spa sta passando di moda”. Per carità, i numeri non si discutono e se il settimanale britannico è sicuro che “il 7% delle società non finanziarie italiane è a rischio di insolvenza” noi ci dobbiamo credere, come dobbiamo credere che sia sbagliato continuare a cercare di salvare l’Alitalia.
Ma il vero “apriticielo” viene quando i nostri severissimi giudici d’oltremanica commentano l’età dei fondatori delle nostre aziende: “oltre la metà delle imprese italiane di prima generazione ha un proprietario/capo che ha più di 60 anni! I membri dei consigli di amministrazione italiani sembrano antichi quanto l’arte del Rinascimento che adorna i loro muri”. Beh, detto da chi ha come capo del proprio Stato una regina di 96 anni, questo commento fa proprio sorridere…
E’ arrivata in libreria in questi giorni la nuova biografia di Umberto Veronesi, che curai con lui in modo da poter conservare il ricordo anche delle sue ultime riflessioni (decidemmo insieme di chiamare quei testi “monologhi postumi”): Veronesi era nato nel 1925 e aveva quindi appena compiuto 69 anni quando fu inaugurato lo IEO (Istituto Europeo di Oncologia), sua ultima creatura, nel maggio del 1994. Andò avanti a guidare l’Istituto per altri vent’anni, con buona pace de L’Economist e lo stesso ha fatto Nino Cerruti con il suo lanificio (per tornare alla nostra moda) e ci auguriamo che continui a fare Giorgio Armani.
La realtà è sempre più complessa di quello che appare, e noi che viviamo nel mondo della creatività della lana ma anche della sofferenza delle malattie, lo sappiamo bene. Si può essere ancora tanto giovani dentro anche a 70 anni e si può essere già vecchi e tristi a 25. A differenza degli anglosassoni noi non abbiamo ancora forse bene imparato a far posto ai giovani nel mondo del lavoro e delle imprese, ma d’altra parte penso che sappiamo invecchiare meglio e, come ha detto il grande musicista David Barenboim in una recente intervista, “non mi sento vecchio, a dire il vero, se mai sì, mi sento un po’ meno giovane”!
La resistenza alla pandemia continua. Aumenta il numero dei contagi ma anche quello dei gomitoli che continuiamo a distribuire in tutta Italia a chi combatte la solitudine e la malinconia lavorando a maglia. Chi la dura la vince…
Alberto Costa